Don Lorenzo Milani
l’uomo, il maestro, il prete

Ho cercato di dimostrare che il Progetto educativo del Priore di Barbiana dà priorità alla Lingua, ma produce anche metodi e tecniche raffinate. Le abbiamo estrapolate. Analizzate insieme. Evidenziare solo il primo Milani di “esperienze pastorali” quando scrive: ” non chiedetemi la tecnica, ma piuttosto come deve essere l’educatore per poter fare scuola”, per quanto questo concetto resti ancora valido, suona sempre più mistificante. Noi del gruppo storico della lettera rifiutiamo l’interpretazione di chi vede solo nel prete di San Donato la rappresentazione vera del vissuto del nostro Maestro. Secondo tali interpretazioni l’esilio e la malattia inaridiranno il suo apostolato.
Per noi, al contrario, rappresentano due cardini, punti di svolta capaci di produrre percorsi e approfondimenti utili ad una più articolata comprensione del pensiero di un uomo che è stato capace di valorizzare il dubbio, di vivere e superare il proprio tempo. I suoi “ceffoni” bruciano ancora. Ci fanno vergognare. Ci fanno riconoscere complici, deboli e colpevoli dei processi degenerativi, della vacuità delle idee e della perdita di valori di questa società. Mettere allo stesso livello, dal punto di vista didattico sia ben inteso, l’esperienza di San Donato, rivolta solo agli adulti e saltuaria, con quella di Barbiana, dove Lorenzo raggiungerà una maturità educativa, è semplicemente assurdo. Lorenzo, avuta la grazia o la disgrazia d’innamorarsi personalmente di poche decine di montanari che affogavano in problemi d’ordine sociale ed economico, inizia il suo apostolato con la grammatica in mano. La molla che lo muove è l’amore. Affermiamo, però, che il nostro maestro, per quanto esperto giocoliere, non è stato uno spontaneista. La suggestiva teoria del “buon selvaggio” è stata da lui definita ipocrita, prima ancora che sbagliata. La sua strategia si basava sui bisogni veri della gente, le influenze ambientali e le motivazioni al sapere.

Purtroppo, Gianni, il ragazzo sempre bocciato della “Lettera a una professoressa”, è finito per diventare ciò che il Priore temeva: un tragico burattino. Solo più elegante nei suoi vestiti di marca e alla moda. Come dice Giorgio Pecorini, nel suo bel libro: “Don Milani. Chi era costui?”, Gianni non ha più le pezze al culo, non sta più con il cappello in mano davanti al farmacista. Ride davanti alla TV che trasmette dai luoghi delle stragi e della distruzione. Una TV che si propone ad un pubblico che è solo spettatore, assente al dolore. Se Gianni è cambiato,
Pierino del dottore si è “in-giannato”, nel senso che assistiamo a un vero e proprio calo di Cultura. Sparito Gianni è sparito anche il signorino! Ecco che oggi, se vogliamo esportare i principi formativi barbianesi dobbiamo inserire nella nostra analisi uno scenario e dei personaggi diversi. Dobbiamo fortemente invertire la logica del permissivismo borghese, ma anche quella degli schematismi ideologici e della frantumazione. Solo in questo modo potremo modificare i dati allarmanti emersi dalle statistiche sulla dispersione e l’abbandono. Ricordiamoci di un’altra provocazione paradossale di Lorenzo, e così forte da fare fremere i tanti asettici e freddi insegnanti, di certa fede sessantottina, quelli che nella realtà hanno solo predicato dalla cattedra senza dare mai la parola: “La scuola per fare cittadini sovrani prima deve essere Monarchica”.


Quest’enunciato, così pesante, va interpretato. Come lo abbiamo fatto noi in una discussione accesa e dove fu necessario soccombere. L’insegnante non deve rinunciare al suo ruolo d’esperto, ci diceva Lorenzo, ma deve diventare egli stesso strumento e tramite per creare i presupposti di una democrazia che si struttura solo con regole condivise. “La democrazia non si predica, ma si esercita”, sosteneva. Essere regista significa operare come in architettura e nel teatro. Dove tutte le competenze sono necessarie e indispensabili. Solo così sarà possibile invertire l’orribile e violento classismo di cultura, difeso ormai solo dall’antiquata e famosa professoressa della “lettera”. La quale rinuncia al suo ruolo, quando candidamente dice: “… scrittori si nasce”.
Comunque la testardaggine con cui Lorenzo Milani sostiene in tante lettere l’esistenza di un’arte e una tecnica dello scrivere, ci libera da ogni dubbio sull’esistenza e sull’applicabilità del suo metodo. Per fortuna la nostra convinzione è in buona compagnia. Finite le mistificazioni, il sacerdote di Sant’Andrea a Barbiana diventa finalmente strumento per i Riformisti della scuola che trovano in lui un’identità forte, non certo l’unica, per dignitosamente esprimersi all’interno del progetto educativo europeo e mondiale. Non è il metodo che dobbiamo modificare, ma, nell’applicarlo, sarà necessario individuare strumenti e bisogni nuovi. Non è vero che il progetto di Lorenzo era basato solo sulle qualità personali di chi insegna. Se è vera la frase, rivolta a chi voleva esportare il modello barbianese: “Non resta che spararvi!” è altrettanto vera quell’altra frase: “A Barbiana verranno tutti a imparare il metodo: dall’ultimo bidello al primo ministro ”.
A parte i paradossi di cui il linguaggio del nostro maestro è ricco, chi crede nella geniale intuizione della scrittura collettiva, nell’importanza della Comunicazione e dei suoi Strumenti, può anche non spararsi, perché l’esperienza ci ha insegnato che: “si può diventare scrittori ”. Esistono valide tecniche e metodi da importare ed esportare, se vogliamo integrare ed espandere il pensiero di Lorenzo. L’acquisizione del sapere coincide con la ricerca dell’oggettività e richiede un confronto con il mondo circostante, per essere verificata. Una scuola che forma i cittadini, non si può sottrarre al compito di preparare anche alla politica e alla vita sociale: “ … io non sono un sognatore sociale e politico: io sono un educatore di ragazzi vivi, e educo i miei ragazzi vivi a essere buoni figlioli, responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani ”.

Perché abbiamo atteso tanti anni, si domandano e mi chiedono tanti insegnanti, prima d’essere capaci di digerire, sperimentare e trasformare in tecniche e metodi la pratica d’insegnamento di Lorenzo Milani? Pudore? Modestia? Timidezza interiore o fariseismo?
Il costruttivismo di Lorenzo è contemporaneo, anche se parallelo, a quello di Bruner e d’altri pensatori che concordano sul fatto che il processo di crescita del soggetto risiede nell’interiorizzare modi di agire, di immaginare e simbolizzare che esistono nella sua cultura.
I significati prendono forma nell’incessante interazione allievo-maestro-ambiente. Ciò che ci ha fatto restare alla sua scuola non era quella bontà che potevamo ricevere anche da pessimi insegnanti. Ci ha trattenuto il fascino e il piacere che si provava a stare accanto ad un uomo così intelligente. La bontà, quando è sola, produce persone eroiche o castrate, ma non educatori. L’allievo si rivolge al maestro non perché è cattolico, giudeo o mussulmano oppure, semplicemente, perché è buono. L’allievo si avvicina al maestro per imparare senza perdere la propria identità. Un rapporto concordato su regole comuni.

Quando mi sono rivolto al Priore ho conosciuto il silenzio, ma anche il diritto di parola. Ho avuto subito una cameretta tutta per me, pasti assicurati, lingue, falegnameria, officina, studio fotografico, audiovisivo, libro, quaderno e una comunità educante. Dopo la sua morte, mi sono rivolto al padre spirituale di Lorenzo quando era in Seminario. Don Raffaele Bensi mi ha messo un libro in mano. Ricordo ancora il titolo e l’autore: “Sotto la ruota” di Hermann Hesse. Bisognava comprendere il libro, per andare oltre e comunicare. Un esame che credo di aver superato perché sono riuscito a costruire un rapporto, quello con don Bensi, che mi ha dato tanto, in anni difficili della mia vita. Meno male che nel mio patrimonio genetico c’era un po’ d’intelligenza, ma soprattutto a Barbiana avevo acquisito un vocabolario ricco.
Questi due insegnamenti sono stati, per me, complementari. Non sarebbero stati così importanti l’uno senza l’altro. E’ Lorenzo, a fare da tramite tra il mio vecchio mondo muto e coloro che parlavano troppo. Il comportamento di don Bensi non avrebbe modificato sostanzialmente la struttura della Piramide che troviamo nelle statistiche sulla dispersione di Lettera a una professoressa e che ancora oggi sussiste. La sua era una scuola elitaria, anche se di alti valori. Il Priore, viceversa, avrebbe ridotto gli analfabeti ad un fenomeno marginale. Dobbiamo riconoscere che entrambi erano scevri d’ipocrisia nel trasmettere i valori. I loro, erano sistemi netti e spesso conflittuali, ma tale dialettica elevava il livello culturale. La piramide era una realtà, nemmeno il ’68 l’ha modificata. La piramide odierna dopo tante pseudo/riforme, mi riferisco ai bisogni culturali d’oggi, ha fortemente allargato i fianchi e abbassato il capo.

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