“Sono una studentessa di 16 anni:
questa è la scuola che vorrei”

Martina è una ragazza di 16 anni, seconda classe di un liceo del lecchese, Villa Greppi, indirizzo Scienze umane.
Durante uno scambio studentesco ha avuto modo di conoscere e frequentare una scuola in Lettonia. Ha messo per iscritto le sue considerazioni, confrontando i due sistemi scolastici.
L’articolo che ha scritto è straordinario anche per via dell’età di chi lo ha scritto, una ragazza di 16 anni.
Si possono anche non condividere tutte le riflessioni di Martina, ma sono ammirato dal pensiero critico e dalla sua capacità di analisi.
C’è speranza per il nostro derelitto paese se esistono ragazze così!


(Gianni Trezzi, dirigente Liceo “Giuseppe Parini” di Seregno)

La mia visione di una scuola ideale non è eccessivamente esigente.
In realtà, ritengo che lo standard educativo adottato dalla maggior parte dei paesi europei sia quasi ottimale. Tuttavia, mi sorprende constatare la difficoltà nel replicare questo sistema proprio in Italia, dove le scuole non sono cambiate molto dagli anni ’80 o ’90.

Di recente ho avuto modo di sperimentare la scuola secondaria in Lettonia, e la differenza tra il loro ed il nostro sistema è assolutamente innegabile.
La scuola che ho frequentato è pubblica e interamente gratuita, e nonostante ciò, credo che nemmeno la migliore scuola privata d’Italia sia paragonabile.
La principale disparità tra i paesi baltici e l’Italia, è il focus dell’istruzione: ho notato che, nel nostro paese, l’istruzione non è affatto concentrata sullo studente.
Qui, la scuola è completamente vista come un obbligo ed è motivo di angoscia tra i ragazzi. Viene insegnato a stare in silenzio e a non criticare l’autorità, a seguire un modello apparentemente immodificabile e a non esprimere la propria opinione se contraria a quella di insegnanti e collaboratori scolastici. Non è la “scuola dei ragazzi”, dove l’obiettivo principale è che loro vengano istruiti alla crescita e al cambiamento; è, invece, la scuola dei professori e del preside, dove vengono trasmessi gli stessi, indiscutibili valori da mezzo secolo e dove gli alunni temono costantemente le figure professionali che sembrano governare la scuola e gli studenti, piuttosto che prendersene cura.

I ragazzi lettoni con cui ho avuto a che fare, vivono la scuola con serenità: è uno spazio dove socializzare, divertirsi e sentirsi liberi, allenando soprattutto le competenze orali e lo sviluppo del pensiero critico ed obiettivo.
Quando loro hanno visitato la nostra scuola, sono rimasti, naturalmente, molto delusi: si sono trovati davanti a edifici malmessi e trascurati – nonostante Villa Greppi sia stata costruita ben trent’anni dopo la loro scuola -, con una biblioteca poco fornita, una mancanza assoluta di spazi dedicati al relax ed alle attività extra scolastiche, con professori ed alunni frenetici e stressati, e centinaia di persone con una conoscenza della lingua inglese molto insufficiente.


Una volta, mi è capitato di leggere sui social un post con scritta la frase: “L’Italia odia i ragazzi”.
All’inizio non lo avevo compreso pienamente, ma adesso che ci ho riflettuto più a fondo non posso fare a meno di citarlo tra le mie argomentazioni.
È ormai palese che il governo italiano è composto al 90% da conservatori non interessati allo sviluppo ed al cambiamento: io non so niente di politica, ma mi chiedo costantemente che fine facciano le risorse economiche del Paese, che non vengono quasi mai sfruttate per le strutture fondamentali come gli ospedali e, per l’appunto, le scuole.
Paesi come la Lettonia, l’Estonia o la Lituania, hanno un trascorso storico tormentato fino ai tempi recenti e non sono particolarmente fiorenti a livello economico: anche le grandi città sono per la maggior parte costitute da vecchie case segnate dalla forte influenza sovietica e il tasso di popolazione che lavora in ditte e fabbriche è altissimo, così come quello di povertà generale.
Nonostante non siano affatto paesi ideali, le strutture pubbliche dei paesi baltici e nordici sono tra le funzionali al mondo: i centri sanitari e le prigioni, per esempio, sono spaziosi e sicuri e nelle scuole viene investito denaro a sufficienza per renderle ambienti accoglienti e confortevoli.

Sostanzialmente, in Italia la scuola è vista allo stesso modo in cui il servizio militare è visto nei paesi sopracitati: come un ambiente rigido e severo, in cui è necessaria la sottomissione all’autorità e che non lascia quasi mai spazio alla creatività, comandato con severità e spesso causa di forte ansia tra i giovani.
L’Italia odia veramente i ragazzi: non crede in loro, o semplicemente non se ne interessa abbastanza da dedicare alle scuole le risorse necessarie allo sviluppo.

Ad esempio, per i ragazzi lettoni che hanno visitato Villa Greppi è stato assolutamente assurdo scoprire che durante gli intervalli, non si è liberi di lasciare l’edificio: si chiedono – e me lo chiedo anche io – per quale motivo noi ragazzi siamo costretti a restare bloccati all’interno dell’istituto per sei ore, e perché uscire dalla scuola sia assolutamente e severamente vietato.


Non è giusto che siano i giovani a gestire il loro tempo? In tutti quei paesi, non esiste il concetto obbligo di frequenza, nonostante essa sia naturalmente fortemente raccomandata: ciò che conta sono i risultati e le presenze a verifiche ed esami, non a quante e a quali lezioni si sceglie di partecipare.
E, al contrario di quanto si potrebbe pensare, questo non fa altro che stimolare gli alunni a presentarsi a più lezioni possibili: data la loro libertà di fare, la responsabilità di lavorare per ottenere buoni risultati ai test è tutta nelle loro mani. Se la scuola non è vista come un obbligo e l’impegno è fine soltanto alla propria soddisfazione personale (anzi che, ad esempio, essere spinto dall’evitare un richiamo dell’insegnante), gli studenti sono più propensi ad essere presenti alle lezioni che gli interessano.

Quella che ho frequentato in Lettonia è una scuola piccola, circa la metà della nostra, e con la metà degli studenti: per questo, mi sembra che il paragone tra le due strutture possa essere fatto tranquillamente.
Infatti, la scuola che vorrei può essere facilmente riassunta da quelle realmente esistenti nei paesi baltici.
Iniziando dalle componenti tecnico-logistiche, gli orari di ogni classe sono scaglionati in modo da evitare affollamenti e confusione in giro per i corridoi: ogni sezione ha pause ad orari diversi ed il servizio mensa è aperto dalle 11 alle 15.30 e richiede una componente economica pari a pochi centesimi.
La scuola comincia ad un orario che varia tra le 8.30 e le 9.30 – in base alla classe e ai giorni della settimana – e termina tra le 15.30 e le 16.30, garantendo dieci minuti di intervallo tra una lezione e l’altra ed una pausa pranzo di 45 minuti.
Tutti gli studenti sono tenuti ad integrare nel loro percorso scolastico materie sia prettamente concettuali e teoriche, che pratiche: infatti, tutti si occupano di musica, di arte o di uno sport.
L’insegnamento della lingua inglese è fondamentale e di alto livello fin dalla scuola primaria, ed i risultati di questo metodo sono visibili anche nei bambini più piccoli. Ad esempio, il fratellino di nove anni di uno dei ragazzi del mio scambio, non aveva nessuna difficoltà a comunicare con noi italiani.
Gli alunni devono anche imparare una seconda lingua straniera, spesso scelta tra il russo, il tedesco e il francese, anche se in un eventuale adattamento di questo sistema all’Italia, il russo potrebbe tranquillamente essere sostituito da una lingua più occidentale come lo spagnolo.


Durante il tempo libero a disposizione, la scuola è dotata di divani e poltrone in ogni corridoio.
La hall principale presenta tavoli da studio per i progetti di gruppo, divani ancora più spaziosi ed un info point con una segretaria sempre disponibile ed un monitor, che avvisa le classi e addirittura i singoli studenti delle comunicazioni più importanti, in maniera funzionale attraverso il digitale.
La biblioteca scolastica, nonostante sia piccola, è molto fornita e al suo interno presenta – oltre che una stampante e dei computer disponibili per l’uso responsabile di tutti – anche delle poltrone insonorizzate per migliorare la concentrazione durante lo studio e la lettura.
Anche le aule stesse, sulle loro pareti posteriori, hanno cuscinetti insonorizzanti per evitare che le varie classi si disturbino a vicenda; gli ambienti sono ben illuminati e dipinti con cura, e tutti dotati di un regolatore automatico della temperatura che entra in azione quando essa sale o scende più di quanto consigliato.
La disposizione di banchi e sedie è ad assoluta discrezione degli studenti, che spesso e volentieri li uniscono per formare dei tavoli unici e stare in gruppo.
La cattedra dell’insegnante è spaziosa, con un computer fisso ed una sedia regolabile.
Le aule contengono sia un’ampia lavagna a pennarelli, che una lavagna multimediale ed un proiettore.
Ogni classe conta circa tra i venticinque ed i trenta studenti, ben equilibrati tra maschi e femmine.
Ci sono quattro bagni con circa dieci toilette l’uno: un bagno per gli insegnanti, uno per i ragazzi e due per le ragazze. Sono tutti dotati di specchi e asciugamani elettrici.
Sono presenti elementi così scontati e banali che non riesco a spiegarmi per quale motivo non ci siano nelle nostre scuole: ad esempio, ogni classe ha un appendiabiti per lasciare borse e giubbotti ed ogni studente ha la possibilità di scegliere un proprio armadietto per non doversi portare ovunque quaderni, penne e dispositivi elettronici.


Soprattutto, la scuola è ricca di spazi comuni e laboratori: per esempio, c’è un tavolo da ping pong in corridoio che è molto apprezzato ed utilizzato.
L’aula di musica presenta una incredibile varietà di strumenti ed è parecchio frequentata; l’attività musicale in generale è fortemente incoraggiata, e ogni classe ha un proprio coro che partecipa regolarmente a competizioni a premi.
Ci sono due laboratori di chimica ed uno di fisica e un’intera aula dedicata a giochi da tavola, calcetto o biliardo.
Un corridoio è poi dedicato all’attività manuale, come il cucito, la cucina od il lavoro del legno.

Così come gli studenti, anche gli insegnanti hanno gli spazi di cui necessitano: un’intera ala della scuola è dedicata a loro, ed ogni materia presenta un ufficio apposito, dove confrontarsi con i colleghi, ma avere anche la possibilità di lavorare in serenità e silenzio.
L’insegnamento delle materie non avviene mai attraverso libri di testo, ma tramite materiali digitali ben organizzati e a disposizione di tutti tramite varie applicazioni.
È raccomandata la partecipazione in classe degli studenti: ogni lezione è interattiva e tutti sono invitati ad esprimere le proprie opinioni pacificamente; si incoraggiano progetti e lavori di gruppo, lasciando allo stesso tempo lo spazio necessario all’esercizio e al lavoro individuale.

Io personalmente credo molto nell’importanza della scuola, ma non lascerei mai che, in futuro, i miei figli venissero educati in un sistema così rigido e poco aperto a nuovi orizzonti, come quello in cui sono cresciuta io.
Amo il mio Paese, la sua cultura, la sua storia ed i suoi paesaggi, e non so come sia messo per quanto riguarda il mondo del lavoro – ma per la scuola, si può parlare di un’ambiente che sopprime spesso le idee innovative dei ragazzi, che incoraggia la paura verso l’autorità, il rispetto passivo delle regole e la totale immersione negli studi anche dopo l’orario scolastico, che spesso ci costringe a rinunciare alle nostre attività preferite, oltre che al semplice e necessario riposo.
Per noi giovani d’oggi, ormai è troppo tardi: ci diplomeremo in questo sistema severo che, come aspetto positivo, ci ha sicuramente preparati alla dura vita che ci attende da adulti, viste le tante prove affrontate durante il nostro percorso scolastico.
Tuttavia, confido che quando al governo ci saranno alcuni di noi, ci impegneremo per evitare che le prossime generazioni debbano vivere la scuola con lo stesso terrore con cui la abbiamo vissuta noi.


Il sistema è visibilmente segnato dalla mancanza di apertura mentale, oltre che di fondi, vista la mala gestione delle risorse da parte del Governo italiano.
Credo che sia necessario modificare tutto, fin dalle basi: per esempio, è assurdo che la scelta dell’indirizzo di scuola superiore, che è influente ed essenziale per tutto il proprio futuro, in Italia debba essere presa a tredici anni.
Nei paesi baltici, per esempio, la scuola è uniforme fino ai sedici anni, dopo i quali è necessario affrontare un’esame per scegliere verso quale percorso proseguire: la scuola tradizionale sopracitata, un istituto tecnico più specifico, o una scuola di arte o musica?

Un’ulteriore differenza che mi sento di sottolineare, è la maturità dei ragazzi comparata tra i due stati: in Italia, l’età media per lasciare casa dei genitori è addirittura trent’anni, mentre in Svezia, Lussemburgo, Estonia e Lettonia è compresa tra i 17 e i 19 anni.
Infatti, in quei paesi è molto comune che i ragazzi di campagna si trasferiscano nelle grandi città per frequentare scuole migliori, vivendo da soli fin dall’adolescenza.
All’inizio, mi è sembrato molto strano, ma riflettendoci, non posso fare altro che trovarlo ammirevole: i ragazzi lettoni con cui ho avuto a che fare, nonostante avessero anche loro vari “difetti adolescenziali”, erano tutti maturi, responsabili e a modo.

Credo che l’ottimo funzionamento del sistema scolastico lettone sia dovuto in parte anche all’atteggiamento degli alunni, che si preoccupano della loro educazione e hanno assoluto rispetto della struttura scolastica.
Siamo onesti: se, in Italia, mettessimo degli specchi negli spogliatoi della palestra, sarebbero rotti dopo dieci giorni e le palline e le racchette del tavolo da ping pong verrebbero perse o rubate in meno di una settimana.
Questo però, non è altro che l’effetto di un circolo vizioso: ai ragazzi non viene data l’opportunità di beneficiare delle strutture perché si teme che essi non siano abbastanza responsabili nella loro cura, ma allo stesso tempo i ragazzi non si responsabilizzano proprio perché non hanno strutture di cui prendersi cura.
Naturalmente, tra le due parti, sono fortemente convinta che il cambiamento debba partire dagli adulti e da chi c’è al comando.


Infine, c’è un’ultima cosa che vorrei specificare: i ragazzi odiano la scuola, perché la scuola – come già trattato – odia loro.
I ragazzi disprezzano la struttura scolastica, la vivono come un ostacolo e non riescono ad immaginare un’ottica dove la scuola sia vista come un luogo di piacere e socializzazione.
In Lettonia, la scuola è aperta ogni giorno fino a tarda sera per lo sport, le attività all’aria aperta, i club di lettura o studio, l’istruzione musicale o semplicemente per avere uno spazio comune in cui fare merenda e dialogare in compagnia.
Gli studenti, vedono la scuola come un posto tutto loro, da cui trarre il meglio per la propria crescita personale.
Il consiglio studentesco è un’attività quasi a tempo pieno ed i ragazzi che ne fanno parte lo prendono come un impegno serio per il quale è necessaria la massima disponibilità.
Insieme, organizzano eventi di tutti i tipi, quasi settimanalmente: gare canore e sportive, balli, cene per i ragazzi, i professori ed i genitori, spettacoli…
Lo spirito d’iniziativa è tangibile dappertutto: qui, non è affatto così. Sinceramente, non so quanti di noi abbiano dato la propria disponibilità per aiutare l’organizzazione dell’evento per il cinquantesimo della nostra scuola, ma sospetto che lo abbiano fatto in pochi: noi italiani, la scuola la odiamo, anche inconsciamente, e desideriamo passare più tempo possibile lontani da essa. Per questo non sentiamo un particolare spirito scolastico né proviamo chissà quale emozione nel partecipare agli eventi pensati dal preside o dai nostri rappresentanti.

Per concludere, credo che il sistema scolastico italiano abbia veramente passi da gigante da compiere e che sia necessario agire il più presto possibile, prima che le nostre mancanze rispetto agli altri paesi europei inizino a ripercuotersi anche sui nostri risultati a livello culturale.
In fondo, l’unica e vera pretesa che ho per la mia scuola ideale è che essa sia indirizzata e concentrata interamente sugli studenti e sulle loro necessità: è da questo focus che poi, deriveranno sia i cambiamenti strutturali che i cambiamenti nell’atteggiamento dei ragazzi stessi.

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