“Prof, perché non siamo più felici?”. Il cambiamento visto dagli occhi dei ragazzi di prima media

L’immagine, come tutte le altre, sono realizzate con l’intelligenza artificiale

Nel cortile della scuola di Sorisole si svolge una sorta di grande Fiera di botteghe e officine del fare, il “Cultural Day” in cui ci si può esporre con le proprie attitudini consolidate. Protagonisti i bambini della scuola primaria e i ragazzi della scuola secondaria di primo grado. Due o tre ragazzi della classe prima ritornano in classe festanti e perplessi, carichi di una domanda che mi rivolgono spontaneamente e prontamente : “Ma professoressa secondo lei, perché i bambini della scuola primaria sono molto più attenti interessati ed entusiasti di noi ? “Eppure solo da un anno i ragazzi di prima media hanno varcato la scalinata che li conduce dalla scuola primaria a quella secondaria… Come lasciar cadere un così interessante quesito, l’interrogativo che mi anima e rianima ogni mattina prima di entrare in classe e durante le ore che ci stringono insieme ?

Comincia una lunga discussione, molto fresca e animata. C’è chi imputa tutta la questione al fatto che una volta acquisita maggiore libertà alla scuola media unita alla possibilità di uscire, e andare in bicicletta, di rimanere a casa da soli, di provvedere alla spesa,  venga meno lo stupore per ciò che è bello, e che credono di sapere già. Ma non basta l’incipit per arrendersi senza cercare ulteriori risposte. Osservano che da piccoli usavano meno tecnologia e le cose apparivano loro trasparenti, come sono davvero, così invitanti la loro osservazione quando andavano al parco, o rimanevamo a casa a giocare tra fratelli. In aggiunta a ciò i ragazzi ritengono di avere avuto da bambini, maggiori obiettivi concreti, materiali da raggiungere in fretta, obiettivi ormai sepolti e azzerati perché risucchiati dai video che si impadroniscono della loro fantasia e della loro capacità di attenzione. Secondo Saymon, alla scuola primaria eravamo molto meno responsabili di oggi e chiedevano aiuto affinché qualcuno li supportasse in quanto dovevano fare. “Oggi siamo abbandonati a noi stessi e il rischio che dobbiamo assumerci rende più facile sbagliare, e poiché abbiamo paura dell’errore, ci areniamo”.
Cerco di incalzarli.


Dove risiede la paura dell’errore se è maestro, se è strada per la vostra crescita? “La paura dell’errore risiede nella paura di deludere qualcuno.
E se così fosse, dovremmo da una parte subirne le conseguenze, dall’altra rimarremmo umiliati, perché non ci sentiamo all’altezza”.
Si apre poi un ulteriore questione, dentro il labirinto di tanti contenuti già così profondi e sovrapposti e complementari l’uno sull’altro: la paura di giocarsi nei rapporti umani, come se non si potesse più tornare indietro, dopo aver ricevuto la dichiarazione di un errore o un richiamo, per esempio da parte di un mister che scatena umiliazione.
Affiora poi alla mente dei nostri preadolescenti il desiderio di fare ciò che piace, unicamente ciò che è comodo, per assecondare uno strano sentore che improvvisamente può attraversare le loro menti ovvero che le cose non servano, le circostanze siano inutili e che occorra sempre e comunque rimanere all’altezza delle situazioni.
Ma la dissertazione non è ancora finita né si appresta a volgere al termine, in quanto essi riconoscono come deterrente anche gli ordini, che provengono dai fratelli più grandi.
Così, spesso gli studenti di prima media confidano di essere affaticati dal dover rispondere e obbedire a chi è più grande, anche perché questo genera in essi, una certa pigrizia nel doversi mettere in gioco, oppure nel rischiare una scelta come quella scomoda su quanto mangiare a pranzo o a cena, quando la mamma e il papà non  offrono loro, sul piatto, quanto è vantaggioso per la loro crescita.
E se a questo  aggiungete il fatto che ora si sentono molto più stanchi, perché avvertono già all’orizzonte, la precarietà del lavoro che sono chiamati a svolgere? Altro interrogativo.
E se non riuscissero a censurare, la noia profonda che vivono a casa pensando di non sapere che cosa compiere o concludere di significativo per sé? Serpeggia anche un’altra grande mancanza che genera il vuoto: il preadolescente non si sente più al centro dell’attenzione in famiglia, come qualche anno prima, e viaggia alla ricerca di una nuova affettività, davanti ai genitori che trascorrono molto più tempo con gli amici, che nell’attenzione ai loro figli  preadolescenti. Per qualcuno la minore attenzione da parte dei genitori scatena comprensibilmente in essi maggiore responsabilità, azzerando però  la libertà che vivevano da piccoli. Ma chi trova  il coraggio per dire ai genitori che potrebbero essere più attenti? Poi si affaccia l’invidia. Questo è un sentimento strano, nuovo, che umilia e  scandalizza fino a mobilitare perché alla scuola primaria, essi non sentivano di “funzionare” così.


Poi c’è lo sport .
Quando da bambini non sapevano giocare a basket, si impegnavamo per imparare a muoversi sul campo, mentre ora, sembra loro, davvero troppo banale. Credere di sapere già tutto, genera noia, credersi anche superiori agli altri, sprona a creare caos per essere notati, evitando anche gli allenamenti che dopo un po’ di tempo, li consumano nella competitività.
È strepitoso ascoltarli, mentre provano a leggere e a narrare le loro percezioni e i loro agiti e mentre le contraddizioni che già abitano la splendida età della transizione, li conducono a intrecciare fra loro, cause e conseguenze. Se prima i genitori erano così attenti e ora lo fossero molto meno, perché affermano in modo convinto di comportarsi bene per paura delle conseguenze? Perché per altri invece, c’è libertà di comportarsi come capita, tant’è che riconoscono di essersi  comportati bene da piccoli, solo per timore quasi reverenziale per gli insegnamenti ricevuti?
Sembra infine che gli obiettivi di oggi dopo i goal accumulati negli anni precedenti, siano quelli di fabbricarsi record mondiali, con le proprie mani, mediante i videogiochi, principi dell’era tecnologica.
I preadolescenti sono quelli di ieri, ma tutto è cambiato.
Meditate, adulti, meditate. Ai posteri l’ardua sentenza.

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