
Inizia tra i rintocchi delle campane la fiaba che la docente Lavinia Agosti ha scritto con sguardo attento e sensibilità profonda.
Un racconto leggero ma denso di significato, che porta i lettori tra le vie di un paese di pianura, dove una vecchia chiesa e un campanile custodiscono segreti, memorie e simboli nascosti. Protagonisti quattro giovani esploratori, ognuno con il proprio carattere e qualche screzio da superare, che si ritrovano insieme in una sorta di caccia al tesoro alla scoperta di indizi lasciati dal passato. Maschere scolpite, oggetti dimenticati, parole incise nella pietra: tutto può parlare, se si ha la pazienza di osservare con occhi nuovi. Ma non è solo un gioco. È un percorso che li aiuta a crescere e a capire che, anche nell’amicizia, esistono momenti di scontro e di distanza.
La “ricetta della buona amicizia” viene svelata alla fine, come un dono inatteso: si litiga, si ascolta, si fischia il richiamo e poi si fa pace.
Una storia che invita a cambiare prospettiva, a riscoprire i luoghi e a suonare – ma insieme – le campane della convivenza.
Ecco il testo del racconto di Lavinia Agosti.
“Ecco arrivo… aspetta Luigi!” dice Milena.
“Aspetta, aspetta. Non tutto può aspettare. Sempre la solita, ti promette una cosa e arriva in ritardo, inaffidabile. E poi le campane devono suonare all’ora giusta”.
Luigi è “l’antico” campanaro, si antico quasi come la campana e il campanile di San Leopoldo.
Là, nella bassa, tra campi, canali e qualche boschetto, la vecchia chiesetta rinascimentale, dimenticata quasi da tutti, assolve al suo compito ogni sera suonando i vespri. Segnale che è ora di andare a nanna per buona parte dei bambini della pianura.
“Dai Gigi”, così lo chiamavano i ragazzini. “Più tardi suona la campanella e più si gioca”. Esclama Milena arrivando di corsa.
“Ma senti questa… Domani chiedo aiuto a Assam…” borbotta Luigi sciogliendo il nodo alla corda della campana.
Milena toglie le scarpe lanciandole così come viene. Una rimbalza sul vecchio candelabro di ferro, che tintinna e traballa e l’altra sfiora il vecchio banco degli sposini, così soprannominato perché una volta era tutto bianco, con stucchi in gesso e oro.
“Avete visto tempi migliori” sogghigna Luigi parlando ai vecchi suppellettili come se fossero persone. “Uffa. Non nominare quell’antipatico di Assam”.
Milena da una parte e Luigi dall’altra, a cavalcioni della corda, intonano la loro melodia in un continuo saliscendi.
Milena per andare a ritmo è solita recitare una poesia strampalata trovata tanto tempo fa, dal nonno. Era scritta su un pezzetto di carta di quaderno ingiallito incastrato nel nodo della fune campanaria.
“Quattro rintocchi, quattro fiocchi, quattro terribili marmocchi. Ecco tittina la vecchia campana e tutti gli occhietti fanno a nanna”.
Assam è sulla porta: “Però, mai visto un campanile dall’interno; è simile al minareto del mio villaggio, tranne che per la campana ovviamente”. “Già, ovviamente” ripete Milena facendo il verso.
“Dai foresto curiosa!” esclama Luigi riannodando la fredda campana.
Assam si avvicina al banco degli sposi, quattro strane figure in rilievo attraggono la sua attenzione: un bambino che fa la linguaccia, uno che tira i capelli, uno che sembra fischiare e l’ultimo con in bocca una cerbottana… Sul finire del nastro che tiene assieme i bambini campeggia una scritta “all’aria fresca siam fuggiti, nel paese tra le vite”.
“Zio Gigi, mi spieghi questi quattro disegni?”.
Luigi li guarda con attenzione, non li aveva mai osservati prima. I quattro sono confusi tra angioletti e ghirlande di fiori. Milena, scansa Assam con una spallata: “I quattro marmocchi del biglietto! della poesia del nonno”.
“Sembra l’invito a una caccia al tesoro. Chissà se ce ne sono altri nascosti tra le vecchie mura del paese, nelle case, tra i vecchi oggetti come dice la poesia?” dice Assam.
“Certamente” esclama Gigi! “I vecchi palazzi sono pieni di maschere strane sopra i portoni per scoraggiare gli ospiti indesiderati. Gli oggetti di una volta, in art nouveau, avevano strane decorazioni”.
“Che dite ragazzi questa sera si va in cerca di marmo…occhi?” propone Assam.
“Con te antipatico?” risponde Milena.
“Dai quattro passi per il paese non possono che far bene” dice Luigi.

Si parte dalla piazza, alla ricerca del primo ragazzino. Tutti e tre istintivamente si mettono a fare la linguaccia e scoppiano in una fragorosa risata. Uno sguardo ai palazzi ed ecco la maschera di pietra si trova sopra al portone del palazzo comunale. Luigi prende la parola: “Mi ricordo che quando ero piccolo e facevo la linguaccia la nonna, mi diceva: Ecco la fine di chi tira sempre fuori la lingua”. La grande maschera che sovrasta l’ingresso sembra dire “faccio quel che voglio io”. Dice Assam mentre non riesce a distogliere lo sguardo. Milena: “A guardar bene è proprio inciso così sulla punta della lunga lingua di pietra. Lo trascrivo sul mio quaderno”.

“Prossima fermata? Uno che tira i capelli ? “esclama Assam. “Allora vi presento mio fratello, un anno, due tenaglie per mani e una presa… “.
“Ma dai! Milena! , lascia stare quel dolce bambino del tuo fratellino.
“Si va alla vecchia Barberia” ribatte Luigi. Il negozio è chiuso da anni, ma Astolfo ogni giorno alle nove apre la serranda, sistema camiciole e pettini ,spruzza nell’aria un po’ di trementina e rimane fino a tarda sera.
Luigi racconta a Astolfo la loro singolare scoperta.
Il vecchio cavallino in peltro, della sedia da taglio dedicata ai bambini, sembra indicare con il muso un vecchio cassetto posto sulla specchiera di fronte.
“Astolfo cosa tieni lì dentro?” chiede con aria un po’ insolente Assam.
Astolfo risponde : ” I vecchi pettini di osso e avorio … mi sembra ieri …che lotte, se si impigliano tra i capelli dei bambini … Questo era il mio preferito”. Sollevando un pettine d’Avorio, tramandato da generazioni, tutto inciso con disegni per bambini. ” Ecco la scritta” esclama Milena”. È proprio lì sul dentino di testa: Tu fai quello che dico io. Trascritta e salvata”.

“Un fischio, ma chi fischia? L’arbitro al campo da calcio scartato perché troppo moderno.
Gli uccelli fischiano ma ci sono dappertutto”. Dice Astolfo.
Assam: “Mio nonno mi raccontava, che in Marocco, il vecchio treno fischiava…”.
“Giusto, alla stazione” grida Astolfo, da quel momento membro ufficiale della caccia ai Marmocchi.
La vecchia stazione non esiste più da quando hanno costruito il binario per l’alta velocità.
“Fatto tutto per nulla” dice Milena scagliando con i piedi, senza volerlo, un sassolino contro il muretto di sassi neri.
Luigi, seguendo con la coda dell’occhio il sassolino nota la vecchia cassetta del cambio dei binari incastonata tra le pietre.
La porticina è aperta. Dentro solo un piccolo fischietto da capotreno abbandonato da chissà chi con scritto: Ecco un fischio di richiamo. “Scritto” conferma Milena.

La cerbottana è proprio difficile da scovare. Nessun indizio. I quattro riprendono fiato seduti sui gradini della chiesetta sotto al porticato, mentre si accendono le luci dei primi lampioni.
“È bruttissimo non saper cosa cercare. Ma… eccola” dice Luigi alzando gli occhi al cielo. “È disegnata proprio qui, sotto al portico, illuminato dalla vecchia lampadina, in mano all’angelo”. “Dai Gigi, ti servono lenti nuove non vedi che è una trombetta?” esclamano i bambini. “Sì, ma sembra… a ben guardare… ha un nastro azzurro disegnato tutto intorno con scritto: e poi pace dai ci diamo” riprende Astolfo. “Evvai quarta frase” ribatte Milena.
Le quattro frasi sembrano avere poco senso. Assam esclama: “Non mi è chiara una cosa : perché continuate a parlare di quattro ragazzi con gli occhi di marmo? La cosa mi mette quasi paura. Occhi che non vedono…”.
“Eh? Cosa hai capito?” dice Milena.
“Marmo-occhi”, ripete Assam.
Milena tenta di spiegare il significato della parola.
“Caspita Milena, siamo noi i quattro marmocchi da prendere in giro” dice Astolfo.
“Dai Gigi, gli occhi di marmo non vedono nulla come noi fino ad ora. Dobbiamo osservare, da punti di vista diversi. Saliamo sopra al campanile, alle luci del rosso tramonto estivo” dice Assam.
“Cambio di prospettiva?” ripete Milena.
“Hai mai guardato il tuo paese dal campanile?” chiede Assam.
Troppe domande accompagnano la salita per la lunga scalinata di pioli in legno d’abete.
Ogni lato dell’arco campanario ha una finestra decorata con un fiocco in pietra.
Il nodo di ogni ficco contiene una parola: 1: Ricetta; 2:della; 3:buona; 4:amicizia.
Nella discesa la luce della lampada illumina l’interno della vecchia campana. Eccola lì incisa per intero tutta la ricetta. Ricetta della buona amicizia.
“Faccio quello che voglio io”;
“Tu fai quello che dico io”;
Ecco un fischio di richiamo! ;
E poi pace dai “ci diamo”.
“Quindi tanta fatica per nulla, la ricetta era già stata scoperta… scritta malissimo e solo per dire poi che i veri amici qualche volta litigano, poi qualcuno li fa ragionare e fanno pace. Che novità!” dichiara Milena. “Milena siamo amici?” dice Assam ben sapendo che tra i due non c’è mai stata grande sintonia.
“È stato bello cercare indizi con te” risponde la ragazzina. Perché dice Luigi “se non hai mai provato a suonare le campane non sai cosa ti perdi”.
E sul far della sera un sorriso appare nei visi stanchi e felici dei quattro nuovi amici.