Barbiana 2040 accoglie nella Rete
la scuola popolare di Scampia

Il nostro percorso di antimafia è molto simile a quello intrapreso da Ciro Corona. I viaggi che facciamo come Università, dentro al corso di Pedagogia dell’Antimafia con gli studenti, vengono fatti senza ricorrere a fondi pubblici, sono fatti a nostre spese. Noi lavoriamo rifiutando alcune logiche di esercizio del denaro soprattutto quando in questo Paese si finisce per finanziare le multinazionali dell’antimafia, le stesse che poi spesso la cronaca giudiziaria ci restituisce dentro importanti processi giudiziari.
Quando si utilizza il denaro pubblico e si parla di morti ammazzati bisognerebbe sempre ricordare che quei lutti non hanno avuto giustizia e su quei lutti non si possono costruire né speculazioni finanziarie, né carriere politiche, di magistratura, accademiche.
Così durante uno dei tanti viaggi che abbiamo iniziato a fare con Ciro Corona, nel corso di una lezione e anche un po’ come provocazione, poi raccolta, abbiamo iniziato a disegnare uno striscione con tre date, in cui la parola Sud ha i colori della bandiera palestinese. La bandiera rappresenta il grande scandalo a cielo aperto di un popolo sottoposto da decenni a una forma terribile di olocausto non raccontata dall’Occidente perché non sono né biondi, né hanno gli occhi azzurri né hanno petrolio. E quindi per l’Occidente rappresentano un problema da gestire attraverso l’isolamento e il silenzio diplomatico. Poiché io e Ciro viviamo in regioni un po’ complesse sul piano della giustizia sociale volevamo parlare di Sud, delle nostre terre utilizzando però un simbolo globale.

Nella bandiera, poi abbiamo inserito le tre date che rappresentano un po’ la storia del Mezzogiorno. Una storia però letta da Sud e non da Nord.
Abbiamo scritto la data del 17 marzo, l’unificazione del Paese, ma raccontata storiograficamente in un modo diverso.
C’è la data del 25 aprile che rappresenta un tentativo: sostanzialmente, la Costituzione repubblicana, la lotta di Resistenza, la costruzione di un Paese nuovo su basi differenti. È stata letta come l’unico momento di condivisione nazionale, perché dal 1861 il Mezzogiorno è stato “piemontesizzato” sul piano dell’apparato burocratico-amministrativo e normativo. Quindi cento anni di storia meridionale sono stati cancellati.
E non c’è bisogno di essere neoborbonici per leggere criticamente la genesi del proprio Paese.


E l’ultima data è simbolica anche per ciò che fa Ciro e ciò che facciamo noi: il 23 maggio. Cade Giovanni Falcone e con lui quindi cade un pezzo delle speranze di questo Paese. L’attacco a Falcone è l’attacco al simbolo, un periodo che si chiude con la morte di Borsellino, quella che è stata definita la stagione delle morti “eccellenti”. E che cosa rappresenta per il Sud?
Le mille vittime delle istituzioni cadute sotto il piombo mafioso: se si escludono il generale Dalla Chiesa, la moglie e il procuratore di Torino, Bruno Caccia e pochissimi altri, sono tutte quante vittime meridionali. Quindi il Sud l’ha combattuta la guerra con le mafie.
Il problema è che oggi le mafie non sono quello che i media, che alcuni intellettuali e moltissimi accademici continuano a raccontare da decenni, lucrando su tutto questo.
Le mafie non sono soltanto un ordine di potere criminale, non è soltanto criminalità territoriale. Le mafie sono principalmente relazioni con i poteri istituzionali, le mafie sono criminalità istituzionali. E oggi sono criminalità finanziarie.
Siamo nel 2023. Ma nel 1983 un accademico calabrese che si chiama Pino Arlacchi scrive il libro “La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo”, un libro importante, edito da Il Mulino e ripubblicato nel 2007 dal Il Saggiatore (qui la versione messa a disposizione dall’autore nel suo sito). Potete le
Allora c’era il muro di Berlino, a quel tempo a scuola io scrivevo temi sui vertici Gorbaciov-Reagan. C’era la Germania dell’Ovest, c’era l’Unione Sovietica agli Europei di quegli anni.
Nel 1989 il muro di Berlino cade, collassa l’Urss. E anche la guerra fredda si conclude con un esito: non si crea un mondo multipolare. È l’Occidente che vince e si espande, domina quella che è l’ideologia economica per produrre profitto e diventa un’ideologia.
Pino Arlacchi, in relazione alle mafie, queste cose le scriveva negli Anni Ottanta, quando il muro di Berlino era ancora in piedi: “Attenzione – diceva Arlacchi – il meccanismo di produzione, accumulo e distribuzione di ricchezza delle mafie è destinato a diventare capitale finanziario legalizzato. E un capitale finanziario legalizzato, cioè un Pil riconosciuto come tale, incide sui meccanismi di selezione e decisionali.

Ho un orologio a cui sono molto legato perché è un regalo di una persona a cui tengo molto affettivamente, più di quanto lo abbia fatto in passato. Che cos’ha di particolare? È un orologio a molla, significa che tutte le mattine io lo devo caricare per non farlo fermare.
Compiere questo gesto significa riflettere criticamente su quello che stiamo facendo. Significa dare tempo. È un approccio che vuol dire che non stiamo sprecando il nostro tempo. Vuol dire abitare il proprio tempo con parole in grado di restituirci una pienezza che la logica dell’utile, la logica quantistica che sta avvelenando la scuola italiana negli ultimi decenni, non ha nulla a che spartire.
Noi siamo padroni del nostro tempo. E oggi abbiamo fatto una scelta di libertà, muovendoci a nostre spese dai tanti territori del Paese per essere qui a Scampia, per scambiarci emozioni, per scambiarci sguardi, parole e per pensare ciò che ancora non c’è, ma ciò che può diventare se questa avventura continua a camminare.

Tre brevi considerazioni, a questo punto.
Le ragioni del convegno, qui a Scampia. Che cosa significa da un punto di vista pedagogico il titolo dato a questo incontro: “Il territorio Pedagogico: idee e prassi per una nuova educazione”. E infine vorrei fare una proposta per tutti.


Io sono un educatore particolarmente ribelle, e mi sono inventato nella Pedagogia una cosa che non c’entra e che mi sta creando anche tanti problemi, il mondo accademico è un mondo molto complesso, è un mondo di potere. Io nasco come storico della Pedagogia, e incomincio a tenere seminari con Ciro Corona (nel 2011, lui era molto giovane), e faceva una tenerezza incredibile, ha due occhioni che esprimono una bontà straordinaria, una dolcezza infinita. Per me Ciro rappresenta una sorta di amore laico nel senso più nobile della parola, e cioè di prossimità. Non parlo mai di Ciro come di un amico, sarebbe troppo riduttivo. Per me Ciro è un pezzo di me, e l’essere un pezzo vuol dire che noi siamo parte di una tensione comune. E io l’ho vista questa tensione, ho visto Ciro lottare.
Ciro ha capito dove sta il senso di quel ribellismo che io mi sento di fare mio e di difendere. Ma che non significa non prestare attenzione alle sollecitazioni istituzionali. Quello che Ciro fa, le sue sollecitazioni restano all’interno di un contesto istituzionale che Paolo Borsellino avrebbe chiamato “istituzioni mafiose”. Per questo molte volte con le istituzioni mafiose serve una metodologia comunicativa rude. E questo è necessario per per arrivare a un punto di soluzione di un problema. Ciò che fa Ciro va letto così, sempre dentro alla complessità di un Paese che ha molte zone d’ombra e ha molte zone grigie.

E allora perché siamo a Scampia, che cosa vuol dire territorializzare la pedagogia? Questa espressione della Pedagogia dell’Antimafia io me la invento all’inizio in questi seminari fino a farla diventare una disciplina sulla quale più volte il dipartimento ha votato se mantenerla o no.

Questo percorso al fianco di Barbiana, e che Edoardo Martinelli, alunno di don Lorenzo Milani, ha vissuto pienamente e di cui è stato protagonista, consegna a tutti noi materiali di studio attraverso i quali formare coscienze critiche. Ma dire “noi siamo abusivi” significa decidere di offrire una possibilità di formazione critica a questi ragazzi e assumersi una responsabilità dinanzi alla quale non possiamo lasciare solo Ciro.
Ecco perché la scelta di fare qua il nostro Convegno, la terza tappa del viaggio della Rete Barbiana 2040. Potevamo farlo in un’altra parte della Calabria perché ci sono scuole ormai istituzionalmente in Rete, dalla IC Gullo di Cosenza, la don Milani di Lamezia fino a al Ciliberto di Crotone. Tutti impegnati a costruire segmenti di scrittura collettiva.
Abbiamo invece proposto fin dall’inizio Scampia perché non è un quartiere di Napoli, non è Napoli e non è la Campania.
L’esperienza di Ciro è per metà un cammino di lotta pedagogica, è uno spazio simbolo di un Paese, la scuola, ma abbandonato. Una scuola che chiude in un quartiere complesso, per lasciarlo degradare a luogo di spaccio e rifugio di tossicodipendenti. Quando portai qui le prime volte i miei studenti questa struttura era ancora chiusa ed era nelle condizioni che Ciro Corona ha raccontato. Dove tutto era coperto da un tappeto di siringhe. Fu in quella occasione che Ciro mi confidò di voler aprire una “Officina delle Culture”, un Centro per i ragazzi. E di volerlo dedicare a una ragazza massacrata dalla camorra, Gelsomina Verde.


Era quell’idea del progetto il “non ancora” della pedagogia. Il tempo che si deve realizzare, la visione, l’eresia. La costruzione di un luogo che non c’è, che però si immagina, il luogo che si ha la forza morale di immaginare. Passano pochi mesi e Ciro inizia a lavorare, facendo quello che ci ha raccontato, finché riesce a inaugurare la struttura.
Ecco, questa struttura rappresenta l’altra faccia del Sud, rappresenta l’altro volto dell’Italia. Ecco perché abbiamo voluto riunirci qui. Per scambiarci parole.
Ma che cosa vuole dire “Territorio pedagogico”? Rispondo nella logica di Barbiana di don Lorenzo Milani.
L’articolo 3 della Costituzione ha un significato particolare. Ma non nel comma 1, che tutti conosciamo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Un comma importante ma che non vuole dire nulla. È un principio astratto di uguaglianza.
C’è invece la seconda parte dell’articolo 3 che è la storia della Resistenza: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Non dobbiamo avere paura della nostra storia. Nemmeno quando ci viene raccontata sembrandoci eccessivamente radicale (il Risorgimento non è certo quello che abbiamo studiato). E allora dovremmo riapre questa riflessione: che cos’era il Sud prima dell’unificazione d’Italia? E che cosa è stato il Sud con le politiche imposte dall’unità d’Italia.
Per me è fondamentale questo concetto: la storia della Resistenza, di un progetto particolare da Roma in su funziona. Da Roma in giù non esiste. Non esiste a Scampia e non esiste in Calabria. E non esiste nel Mezzogiorno.
È compito della Repubblica, secondo comma dell’articolo 3 “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Rimuovere, appunto: non è un verbo di compromesso, è un verbo radicale. Perché dice che questo Stato, questa Repubblica esiste per fare dell’eguaglianza e delle opportunità la meta di ogni azione politica. E di ogni azione educativa. La scuola ha senso solo dentro a questo articolo.


Nella Lettera a una professoressa i ragazzi di Barbiana lo dicono chiaramente: “Cara signora maestra, la Costituzione sei tu, lo Stato sei tu, lo Stato è il capo della scuola, sono gli insegnanti”. Vuol dire entrare in classe secondo quelle coordinate che Rita Fumagalli nel suo intervento ha descritto su più piani.
Intanto su un piano di condivisione, di condivisione emotiva: perché se non siamo capaci di emozionare i ragazzi allora chiudiamo tutto e scegliamo di fare un altro mestiere.
Questo dell’insegnante non è una professione di valutatori del potere. È un mestiere di soggetti, di persone umane, di uomini e donne liberi capaci di costruire pezzi di cuore, pezzi di vita. E dalle parole pronunciate da Rita Fumagalli questo valore si percepisce dalla prima all’ultima parole del suo intervento. Emerge dallo sguardo, dalla tensione morale verso una battaglia che non è una battaglia tecnica, è una battaglia etica dentro a una cornice più ampia. È stato descritto un cammino emotivo, è stato descritto un cammino culturale e politico.
Qui è stato descritto un cammino metodologico didattico, che c’è tutto nel Manifesto della Rete Barbiana 2040. Trova sintesi in uno strumento nuovo, il sito web che ci restituisce pezzi di parole in un mosaico di un’avventura che testimonia una progettualità culturale dirompente, dove cuore, passione, ragione stanno insieme verso un progetto di cambiamento delle coscienze. Ma non per fare politica, nel senso odierno almeno. Ma per fare Costituzione. E al Sud, a sud di Roma, vuol dire ricostruzione di diritti. Perché noi i diritti qui li abbiamo sfregiati quotidianamente.

Diceva Paolo Borsellino, il 3 giugno 1991, un anno prima di essere massacrato: “La lotta alla mafia è soprattutto lotta al consenso verso le istituzioni mafiose, verso i servizi mafiosi”. E poi, ancora: “La lotta alla mafia non doveva essere solo un’azione di repressione. Ma diventare un movimento culturale, morale e anche religioso che coinvolgesse tutti. Che tutti ci si abituasse a servire la bellezza, il profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso sociale dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Tutto questo è la nostra Costituzione.
Territorio pedagogico è uno spazio non necessariamente fisico, lo è anche. Ma è uno spazio più ampio, un laboratorio per la costruzione di parole. Non di parole, come direbbe Paolo Freire “prese nella loro sonorità”. Per fare un esempio concreto, come le parole dell’Accademia, che sono parole finte, parole di potere che servono per legittimare le verità attraverso le quali questo Paese, per esempio, ha una società da Nord a Roma, e ne ha un’altra da Roma verso la Sicilia. Le parole dell’Università sono parole di potere. Direbbe Tonino Bello, giocando con le parole di una fonte che anche Edoardo Martinelli conosce bene: “I segni del potere, e poi il potere dei segni”. Quindi ci sono le “parole di potere”. E poi c’è il “potere delle parole”. Il territorio pedagogico è questo spazio, in cui le parole devono abitare, devono vivere in una maniera altra. Diceva Freire: la parola autentica è in grado di cambiare il mondo. E quella parola è la parola “coscientizzata”, è la parola vissuta, è la parola che immagina fatti che non ci sono, come questa struttura che nel 2012 non c’era.
E non era affatto scontato che riuscissero a costruirla. E che oggi è ancora più difficile difenderla. Però siamo qui.


Qui dove non arrivano i figli dei padroni – utilizzo questa espressione rendendomi conto che è un termine un po’ ideologizzato, ma è l’espressione che utilizza Barbiana. E quindi io resto fedele anche se la parola andrebbe declinata in maniera differente -. Ma qui la parola “padroni” vuol dire “potenti”, vuol dire “coloro che prevaricano, quelli che impongono” la loro narrazione. Qui non entrano i loro figli. Qui entrano i figli della povera gente, per avere un’opportunità di vita. L’opportunità di vita la scoprono attraverso le parole. Ma quelle parole sono una scelta di tempo intesa come dono, come prossimità, che si fa sfida reale della disobbedienza.
Il territorio pedagogico sono convinto sia l’unico spazio di libertà che abbiamo. Uno spazio territoriale, certo. La Calabria va abitata in maniera diversa, anche le scuole devono fare delle scelte. La Calabria è una terra un po’ complessa, molto complessa, in cui le scuole sono ridotte a fabbrica di potere e a meccanismi clientelari nella gestione del denaro pubblico con lobby di potere. Diamo quindi senso ai luoghi che abitiamo. E la scuola di Sorisole lo dimostra, rappresenta cioè quell’idea di scuola possibile, in grado di essere fino in fondo credibile, un modello in cui noi tutti ci riconosciamo pienamente e totalmente, in uno schema pubblico di Barbiana 2040.

Ed ecco la proposta finale: non possiamo non partire dal lavoro straordinario che Edoardo ha fatto di composizione di esperienze importanti. Da qui la mia proposta alla Rete: quello che ci ha raccontato Ciro deve essere una semina importante. Vorrei che questo doposcuola di cui ci ha parlato e che inaugura il prossimo primo ottobre, potesse diventare una scuola popolare della Rete di Barbiana 2040, per dare ai figli di chi non ha occasione uno spazio di opportunità.
Se facciamo questa esperienza educativa e formativa vorrà dire che quando avremo tempo gli insegnanti e i docenti della Rete Barbiana 2040 potranno donare giorni di formazione sotto forma di impegno militante per far emergere nei territori del Sud la scommessa etica di Scampia. Potremo dire che Ciro Corona ha vinto e noi saremo qui a Scampia in tanti, per Scampia.

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