Bulli e cyberbullismo oggi
si esce costruendo relazioni

Nei giorni scorsi stavo leggendo un articolo sul sito del quotidiano Avvenire che ho avvertito come esortazione e dovere da condividere: portiamo nelle scuole, ma non solo, il Documento sulla fratellanza!
Ormai sono passati cinque anni dalla firma di questo testo tra Papa Francesco e il grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, ma il rischio è che venga archiviato nelle nostre riflessioni e azioni. Se lo proviamo a rileggere alla luce della Giornata mondiale contro il bullismo e il cyberbullismo che ricorre ogni anno il 7 febbraio, queste parole risuonano come profetiche per una nuova umanità costruita propria sulla fratellanza.
Il bullismo rappresenta un fenomeno insidioso e sempre più diffuso che colpisce numerosi ragazzi e ragazze in tutto il mondo: a tal proposito scrive Luca Biffi (Ats di Bergamo) «un dato ormai consolidato a livello mondiale è il 25% di ragazzi vittima di bullismo: significa un giovane su quattro. In Italia siamo messi un pochino meglio, ma ciò non significa che non ci dobbiamo occupare del fenomeno, anzi».
Attraverso azioni aggressive e ripetute nel tempo, gli autori di atti di bullismo causano danni fisici, psicologici e emotivi alle loro vittime, spesso provocando conseguenze a lungo termine, difficilmente riparabili. Trascorrendo parte delle mie giornata con bambini e bambine, ragazzi e ragazze e con adolescenti sovente sento ricorrere il termine “bullo”, “bullismo” o “mi ha bullizzato, mi ha bullizzata”.


Ma cosa è in realtà il bullismo, di cui tanto parliamo e spesso, forse, ne abusiamo a livello terminologico?
«Il bullismo è un insieme di atti di prevaricazione che possono essere verbali o fisici, ai danni di una vittima che si trova in condizione di fragilità  – spiega Stefania Albonetti, professoressa all’UNiversità di Bologna, (“Bullismo, iperconnessi si rischia. Dopo cena via i cellulari”, L’Eco di Bergamo, 2024) -. «Atti che abbiano carattere intenzionale e ripetitivo e una intensità diversa dalle normali scaramucce tra adolescenti. Tutto questo nella rete diventa il cyberbullismo»
In questa breve definizione troviamo un’ulteriore evoluzione di questo fenomeno, favorito dallo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione sociale: «purtroppo – sostiene Biffi – è una conseguenza della diffusione massiccia degli smartphone, ormai in mano anche ai ragazzi talvolta fin dalle elementari».
Se fino a pochi anni fa, la vittima di atti di bullismo tornava a casa e si trovava in un ambiente diverso e confortevole, oggi, di fatto questo fenomeno non finisce mai perché i giovani sono sempre connessi. Anche tra le mura domestiche, in un tempo e in uno spazio diverso, è sufficiente poter accedere alla rete perché le molestie, le offese e le immagini lesive tornino a tormentarli: ricordiamo che «oggi per escludere un ragazzo, non ci si mette più la faccia: basta un clic!» (Conti, cit.).


Papa Francesco, durante il suo viaggio in Giappone nel 2019, non ha esitato a definirla «una cosa crudele» e addirittura «un’epidemia». E allora, come possiamo uscire o quantomeno preservarci da questo contagio? Lui stesso ci indica la possibile strada: «la miglior medicina la potete trovare voi stessi», «nel vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare» (Fratellanza umana, 2019). E, come cristiani impegnati attivamente nella nostra società, non possiamo rimanere indifferenti!
Analizzando bene alcuni casi ci si accorge come gli autori di atti di bullismo sono, paradossalmente, i più deboli perché pensano di poter affermare la propria identità facendo del male agli altri diventando vittima della loro stessa crudeltà, dalla quale traspare un senso di fallimento a causa di un evidente mancanza di valori. Impegnarsi a lavorare per un mondo più fraterno e umano «nel rispetto e nell’apprezzamento delle differenze» al fine di costruire un concetto di “piena cittadinanza” è un’urgenza improrogabile: «abbraccia tutti gli uomini, unisce e  rende uguali” permettendo di “incontrarsi nell’enorme spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni» (Fratellanza umana, 2019).
Da una crisi non si esce mai “da soli” ma “camminando insieme”: solo così si sradicando i rovi  del sentirsi isolati e dell’inferiorità; diversamente non si fa altro che preparare il terreno alle ostilità e alla discordia. Sentirsi isolati è sentirsi «rinchiusi in una prigione buia, incapaci di vedere i raggi del sole». (Papa Francesco Messaggio per la XXXVIII GMG): questo è esattamente l’opposto del “sentirsi amato”!

L’assenza di una solidarietà fraterna, basata sull’amore vicendevole, provoca «distruzione ambientale e degrado sociale» (Di Bussolo in Vatican News, 2024) causando immense sofferenze, di cui sentiamo cronaca quasi quotidianamente:  ci ricorda Madre Teresa che «la solitudine e la sensazione di non essere amati è la povertà più terribile». È possibile percorre una nuova strada in cui «l’amore scaccia il timore» (1 Gv 4,18): sta a noi, adulti, trasmettere con autorevolezza, coerenza ed esemplare testimonianza che non si accende una fiamma «per metterla sotto il moggio» (Mt 5,15) ma per diffondere la luce della speranza, dell’amore, della preghiera e della pari dignità…

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