Pratiche dialogiche e scrittura collettiva
l’alleanza cresce in Università

Platea impegnativa sia per il numero, circa 300 studenti-docenti di sostegno del corso TFA, sia per la composizione: ad occhio, un corpo docenti maturo (molti insegnano da tempo) forse un po’ arrabbiato (è una mia sensazione), sicuramente stanco, per ovvii e comprensibili motivi, tra i quali il ruolo dato all’insegnante di sostegno e, non ultimo, le tre ore di corso alla fine di un’intensa giornata scolastica.
Gianni Trezzi lo sa e per questo inizia come sempre l’incontro con 5 minuti di rilassamento: oggi invita tutti a volare, a librarsi liberi nell’aria pura di un paesaggio lontano mille miglia da questa aulona universitaria.
La routine continua poi con la lettura di un nuovo capitolo di “Nati due volte”: l’incomunicabilità tra l’istituzione scuola e i bisogni di un genitore di un figlio disabile.
Ottima introduzione alle pratiche dialogiche.

“A scuola si può parlare una lingua franca educativa. Le pratiche dialogiche sono uno strumento per comunicare in modo efficace e per aiutare a dialogare nell’ambiente scolastico particolarmente complesso e a legami deboli”.
Così inizierà anche il testo collettivo nato dai fogliolini che timidamente distribuiamo agli studenti seduti nelle prime file.
L’invito è sempre lo stesso: prendete appunti e su ciascun fogliolino scrivete un’idea, un pensiero, una riflessione. Rigorosamente anonimi.
Gianni senza tanti preamboli passa dalla lettura alla descrizione delle pratiche dialogiche, lui sa che “Il tempo è un dio breve” (sul tavolo vicino al podio ci sono oltre al libro di Pontiggia, due testi di Mariapia Veladiano: Parole di scuola e Oggi c’è scuola.

Le descrive, ne fa un excursus storico spiegando che sono pratiche nate in ambito psichiatrico, in Finlandia, sperimentate non tanto per risolvere problemi, ma essenzialmente per dar voce alle preoccupazioni dei pazienti e, visti gli esiti positivi, si è pensato di esportale in altri luoghi, come la scuola, dove l’ascolto e la relazione sono fondamentali.
Punto di perfetta congiunzione tre le due pratiche: entrare in autentica relazione con l’altro attraverso la parola detta e ascoltata, senza giudizio alcuno, proprio come nella scrittura collettiva secondo il modello di don Milani nella scuola di Barbiana.

Una conferma di come le due pratiche si compenetrino nello sforzo, a volte davvero impossibile (Gianni lo ribadisce ai presenti, più volte, con enfasi), del mettere in comunicazione dialogica tutti gli attori del contesto scolastico.
Quando Arianna prende la parola per parlare ai presenti della scrittura collettiva, il terreno è già stato ben dissodato da Gianni, ma occorre tutta la forza possibile delle parole per tenere aderente il contesto. E Arianna, come è nel suo stile, cattura l’attenzione raccontando di don Milani, della sua salita a Barbiana, della scuola nella canonica vicino alla cucina, dell’impegno del Priore per portare la Cultura tra “gente che parlava solo con le bestie”.

“Barbiana, scuola si può fare ovunque. La scuola di don Milani è partita con bambini che parlavano con i maiali. Perciò noi docenti dobbiamo partire da quello che abbiamo” (Fogliolino anonimo).


“Pedagogia dell’aderenza: pedagogia impopolare, ardita, scomoda, che aderisce interamente ai fattori del reale: cultura informale e contesto degli allievi, che promuove l’aderenza tra parola e pensiero, tra che si dice e ciò che si fa”.
PEDAGOGIA DELL’ADERENZA – Manifesto di Barbiana 2040

Ecco tornare lo spazio del “tra” che anche le pratiche dialogiche cercano di comprendere per rendere autentica la comunicazione.
Arianna conclude il suo intervento con il “Principio di infedeltà” tanto caro al Priore: evitare le sterili cristallizzazioni per promuovere l’adattamento all’oggi dei nostri allievi e del mondo reale in cui viviamo.

Quando prendo la parola, sono tranquilla, chi mi ha preceduto mi ha molto agevolato. Così parto dalla narrazione di episodi di scrittura collettiva vissuti nei diversi laboratori tutti centrati sul focus INCLUSIONE.
Arte umile, mettere insieme i foglietti. (Fogliolino anonimo)

Alle mie spalle la frase scritta da Edoardo Martinelli, alunno di don Milani, sulla lavagna della mia classe mi incoraggia:

La scrittura collettiva raccoglie briciole di parole e frammenti di pensiero per restituire a ciascuno di essi una dignità, un senso e un ruolo nel discorso collettivo.

ECOLOGIA DEL PENSIERO – Manifesto del Movimento Barbiana 2040

Chi mi ascolta sembra concordare sul valore dell’anonimato del fogliolino, soprattutto per gli alunni più svantaggiati, dove l’errore non è giudicato come incapacità del singolo, ma come risorsa per la riflessione comune, dove la scrittura non è una mera performance scolastica ma diventa l’elaborazione di un pensiero che si compone del contributo di ciascuno, in una vera germinazione multipla dell’identità collettiva.
I ruoli scompaiono, Pierino e Paolino sono sullo stesso piano e insieme possono costruire L’ALFABETO DEL NOI – Manifesto del Movimento Barbiana 2040


Mentre Io e Arianna raccogliamo i fogliolini scritti, Gianni gira tra i banchi a raccogliere domande.
La prima è toccante per l’intensa carica emotiva di Paola: da 30 anni crede e si è formata per fare una scuola inclusiva, ma ancora oggi si sente incompresa e sola nell’impresa di portare buone pratiche nella scuola: “Sono tutte perdite di tempo!”.
Sempre emozionata aggiunge che oggi, in quest’aula, la solitudine accumulata si trasforma in speranza nuova.
Quanto infatti è urgente, nelle nostre scuole di ogni ordine e grado, tornare a vivere un tempo Skolè, un tempo liberato, un tempo disteso capace di dialogare, indugiare senza giudicare, trascinando alla consapevolezza, ai saperi e alle competenze.
VIVERE IL TEMPO SKOLE’ – Manifesto di Barbiana 2040

Altri interventi dichiarano il ruolo non facile del docente di sostegno: ci si chiede se è proprio necessario l’appellativo, se non sia invece indispensabile considerarlo come un docente del team, contitolare di classe e basta.
Giustamente uno studente mi fa notare che il docente di sostegno non è un pacco che tu, docente titolare, decidi di tenere dentro o fuori dall’aula.
Eppure è così, molto spesso, in ogni ordine di scuola.

E poi via, si inizia a trascrivere alcuni fogliolini (sono davvero tanti e ricchi di appunti).
Giusto un assaggio di come si genera, o meglio si autogenera, un testo collettivo.


A scuola si può parlare una lingua franca educativa. Le pratiche dialogiche sono uno strumento per comunicare in modo efficace e per aiutare a dialogare nell’ambiente scolastico particolarmente complesso e a legami deboli.

Spazio del “tra”
La relazione autentica nasce in un contesto dove il dialogo riflessivo diventa lo spazio del “tra”: dal prodotto al processo.

Dal prodotto al processo, dialogo riflessivo.
Curare le relazioni, affrontare i conflitti con creatività.
“Devo avere fiducia nel risultato”

Scuola Barbiana: scrittura collettiva. La parola è la chiave fatata che apre il mondo.
Barbiana, scuola si può fare ovunque. La scuola di Don Milani è partita con bambini che parlavano con i maiali. Perciò noi docenti dobbiamo partire da quello che abbiamo. 
Sotto la neve il pane.
Arte umile, mettere insieme i foglietti

Dopo un avvio timido e riservato, la partecipazione cresce, si discute da dove partire, come collegare i pensieri, se eliminare i doppioni, fermo restando il principio che quanto scritto deve trovare una collocazione nel testo collettivo.
Nessuno escluso e con il consenso di tutti.

Quante altre cose avremmo potuto dire sulla scrittura collettiva, ma il tempo finisce.
Qualcuno si avvicina e ci stringe la mano. La maggior parte fugge via per prendere il treno cosicché la lunga giornata lavorativa abbia finalmente fine.
In aula, restiamo noi tre, Gianni, Arianna ed io, insieme alle nostre due pratiche che davvero possono collaborare nella costruzione di una Scuola Inclusiva perché In Ascolto.

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