
«Scrivere e pubblicare un libro per noi docenti riveste un immenso significato auto-formativo, che permette di divenire trasparenti davanti a tutti». Così, con queste parole, hanno introdotto la presentazione del loro primo libro, martedì scorso a Bergamo, Insegnare è/a vivere, le tre docenti Elena Bagini, Rosaria Di Gaetano e Rita Fumagalli. Un testo che la Rete nazionale di Scuole che partecipa al progetto educativo e pedagogico Barbiana 2040 di innovazione della didattica di oggi riattualizzando la pedagogia di don Milani alla scuola di Barbiana, si è accompagnata alla ulteriore testimonianza della docente Arianna Gelfi, con la sua nuova tesi magistrale in Scienze Pedagogiche: L’evoluzione della scrittura collettiva da don Milani alla Rete nazionale di scuole Barbiana 2040.
Il racconto non poteva che iniziare da un meraviglioso viaggio: la salita verso quel piccolo grumo di case, che è ancora Barbiana, percorsa allora da don Lorenzo Milani e che oggi, riporta magicamente un silenzio denso di desideri, forse lo stesso che provò, passo dopo passo, il priore stesso. Ebbene, nell’autunno del 2017, in occasione dei cinquant’anni dalla morte di don Milani, Rita e Rosaria raccontano di essersi unite a un semplice pellegrinaggio che le ha portate a intrecciare le stesse orme lasciate dal sacerdote fiorentino. Una cosa sul quel sentiero accomunava tutti fin da subito: una nebbia che impediva di vedere l’orizzonte, allora dovuta alla forte pioggia e al clima invernale, oggi rappresentata dal livello di sofferenza che si notava e ancora si rileva crescere sempre più all’interno della comunità scolastica. Tutto ciò, sottolineano, ha generato e nutrito «quel “turbamento” milaniano, che si è sprigionato in loro».

Rientrando nella routine quotidiana, Rita Fumagalli, docente dell’IC di Sorsole, inizia a scrivere una nuova storia che dopo sette anni ha consolidato la sua narrazione nel progetto e Rete di scuole Barbiana 2040: «Ciò che ho visto accadere giorno dopo giorno, il livello di sofferenza, ciò che comunemente oggi si classifica come disagio, che emergeva nei bambini, nei ragazzi, nelle famiglie e nei docenti, ha fatto nascere la sete di ricercare strade nuove, orizzonti verso i quali condurre…». Perciò «si rendeva necessario un cambio di paradigma» in cui gli alunni fossero i «veri protagonisti del cambiamento».
È nata così, raccontano le docenti, la Rete nazionale Barbiana 2040: «Non è una ragnatela pronta a tarpare le ali o ad imporre modelli, ma un trampolino per far volare studenti e docenti». E questo viaggio di scoperta, oggi più che mai, non è spontaneo e per questo necessita di essere stimolato; inoltre non può essere solitario ma «va accompagnato»: per intraprenderlo è indispensabile trovare «qualcuno che non ci giudica ma ci sta vicino», facendo germogliare la «voglia di cambiare» e, come ha assicurato Rosaria Di Gaetano, «riempie il cuore di gratitudine perché fa riassaporare il ruolo trasfigurato e rinnovato di docente che continua ad imparare, invece di somministrare e di ripetere».
Un viaggio con una caratteristica importante e una mancanza costitutiva: non ha orologio, non guarda al tempo cronologico che scorre inesorabilmente ma vive il tempo καιρός (kaiors) come occasione, opportunità in cui prepararci ad accogliere colui che imprime il valore e colma quella mancanza originaria, ovvero l’atteso imprevisto, che «rappresenta il lievito che può far accrescere tutta la pasta o la nuova linfa che circola all’interno del percorso e conseguentemente del processo». È stato proprio un atteso imprevisto, ovvero l’intervento di un giovane partecipante che ha permesso ad Elena di raccontare come è nata l’immagine adottata per la copertina: «Per il pesce, metafora del laboratorio, uscire dalla boccia di vetro vuol dire uscire dalla propria comfort zone per esplorare il mondo. Questo significa abbandonare uno stato di sicurezza e routine per sperimentare nuove situazioni, conoscere meglio se stessi, apprendere cose nuove, cambiare ed evolvere (immagine realizzata da alunni della 4^B con Intelligenza Artificiale)».

Questo tempo ci allontana indirettamente dalla «corsa spasmodica finalizzata al raggiungimento degli obiettivi» e ci sprona ad abitare con pazienza l’incontro con l’altro, sia esso bambino sia esso adulto, per crescere come “cittadini sovrani”: «È la scuola dell’indugio e della lentezza come ci ha insegnato Edoardo Martinelli, maestro e alunno di don Milani a Barbiana. Dare valore a questo tempo rallentato significa dare tempo per pensare, perché dal pensiero e dal confronto di pensieri, possa nascere la parola».
Così la comunità scolastica, alunni e docenti, si configura come luogo capace di creare unità attraverso la parola, la «chiave fatata che apre ogni porta» in cui l’ascolto e il confronto rispettoso, educato, democratico e partecipato diventano le fondamenta solide per costruire il futuro non innalzato sulle nostre singole ragioni, bensì sul bene comune che coinvolge tutti senza escludere nessuno. «È nell’apprendere insieme che la soggettività emerge in quanto si specchia nello sguardo dell’altro. È l’altro che mi riconosce, che riconosce il mio contributo e compone la mia identità. Allo stesso tempo, è nell’apprendere insieme che l’IO si apre al NOI».
È in questa cornice di tempo «disteso che sa dialogare, indugiare, senza giudicare trascinando alla consapevolezza, ai saperi, alle competenze» che trova ospitalità con molta delicatezza “l’umile tecnica della scrittura collettiva”, la quale, come testimoniato dall’esperienza quotidiana in classe di Elena, «genera processi cognitivi significativi, scalza le dinamiche dell’insegnamento tradizionale, favorisce la motivazione, genera apprendimenti autentici e radicati, genera identità sia individuale sia collettiva».
«Grazie per avermi permesso di immergermi nell’esperienza della scrittura collettiva che – racconta Giulia – avete illustrato con le vostre testimonianze permeate da entusiasmo e passione».

Minuto dopo minuto, si crea «un’atmosfera magica, in cui il potere della parola e dell’ascolto si intrecciano». Prosegue Elena: «Il pubblico, numeroso e attento, ha partecipato con un’intensità che va oltre la semplice presenza: è connesso, in un perfetto equilibrio di simmetria e circolarità comunicativa, dove ogni intervento è diventato parte di un dialogo vivo e condiviso. L’attenzione si è trasformata in partecipazione attiva, e la partecipazione è diventata complicità, creando un legame profondo tra chi racconta e chi ascolta. In questa armonia, il messaggio di Barbiana si è rinnovato e ha trovato eco, portando alla riflessione sul significato autentico della scuola come luogo di uguaglianza, libertà e crescita».
Attraverso alcune semplici domande, le autrici hanno colto l’occasione per confrontarsi con il pubblico, non tanto per descrivere un metodo da applicare come chiave di volta nell’esperienze scolastiche. Ma con l’intento di far gustare e, di riflesso, far appassionare chi accoglieva le parole per scrutare anche in loro e con loro «le cose belle che vedranno domani». Per questo motivo, lo potremmo definire un “testo vivo” che si nutre nella continua e costante “aderenza alla realtà”: se si toglie quest’ultima, si «cristallizza» e muore perché è come togliere ossigeno a qualunque creatura sulla terra.
Quale potrebbe essere l’ingrediente nascosto ma presente che tiene vivo questo testo? Fiorella Tagliaferri, fra le primissime bambine alla scuola di Barbiana con il priore, con la sua testimonianza, ci ricorda: «Si parla di come si deve essere per insegnare. Le sue parole e i suoi insegnamenti sono rimasti dentro di noi perché si sono impressi con l’esempio. Nell’insegnare ci faceva appassionare, voleva il meglio per noi». Solo così si trasmette qualcosa di vivo, che parla ancora al cuore delle persone, in particolare ai docenti impegnati nel campo educativo ma non solo, i quali non possono lavorare come monadi che si muovono all’interno di un microcosmo, dove è naturale scontrandosi, ma necessitano di sentirsi parte di un universo più ampio in cui è spontaneo il confronto e l’ascolto: «oggi la complessità del reale e le sfide che abbiamo davanti ci impongono di fare rete»).

E in questo senso l’intervento di Giuseppe, dal pubblico, ci incoraggia a non aver paura di ripartire sempre e ovunque: «Sono venuto all’incontro di presentazione del libro, pensando che, avendolo già letto, non ci sarebbe stato nulla di nuovo che mi avrebbe sorpreso, anche dopo quanto già sperimentato in questi anni all’Istituto in cui lavoro. Invece sono stato travolto da forti emozioni suscitate soprattutto dalle tre autrici che sono state in grado, grazie a racconti autentici, ricchi di passione e di entusiasmo, a rendere vivo e animato tutto ciò che avevo letto… come se il contenuto uscisse dal testo per trasformarsi in immagini, in piccoli trailer che hanno fatto nascere in me il desiderio di rileggere il libro da una prospettiva diversa: dalla prospettiva di un docente “nuovo” che sente il bisogno di rimettersi sulla linea di partenza portando nel percorso ciò che può dare un nuovo slancio alla propria professione perché puoi “insegnare a vivere” solo se ti senti vivo nell’insegnare per affermare a gran voce che insegnare è vivere».
Ogni buon educatore ha il compito di stimolare e appassionare le nostre giovani generazioni a vivere l’avventura della vita e che, come richiama Rosaria, «ci genera come pensiero e come parola», allentando i meccanismi di fuga in avanti, tipici di questo tempo storico, che spronano a bruciare le tappe, cercando di diventare “subito grandi”.
Insomma, «una serata di grande intensità e partecipazione – conclude Anna al termine dell’incontro -. Una serata che ha testimoniato l’attualità e la potenza della pratica pedagogica di don Milani. La presentazione del libro Insegnare è/a vivere ha offerto non solo un’occasione per riflettere sul valore della scrittura collettiva come strumento pedagogico, ma anche un momento di confronto vivo e concreto tra docenti, riuniti nel comune desiderio di rinnovare la pratica educativa. Le esperienze condivise dalle autrici hanno mostrato anche come il metodo della scrittura collettiva possa essere una risposta moderna alle sfide dell’inclusione e della collaborazione in aula. Un incontro che ha lasciato il segno e che richiama l’urgenza di restituire alla parola il suo fondamentale ruolo».
Una serata che ha portato a generare anche una riflessione-invito. La sintetizza Elena: «L’augurio più grande – spiega Elena- è che chi ha vissuto questa esperienza possa diventare un moltiplicatore del messaggio, portando avanti gli ideali di don Lorenzo Milani affinché il seme della consapevolezza e del cambiamento, piantato in questa serata speciale, cresca e si diffonda, arrivando a toccare sempre più persone. Un evento che non si conclude, ma si trasforma in un punto di partenza». Non ci resta che raccogliere la fiaccola e portarla avanti! Come ha già sollecitato anche Papa Francesco.